Nino Campisi legge "Le ceneri di Gramsci" di Pier Paolo Pasolini -(Parte III e IV). Teatro del Navile, 2 novembre 2015. Con Trio Ànema, Marcello Corvino (violino), Biagio Labanca (chitarra), Massimo De Stephanis e Nino Campisi (voce recitante). Aiuto regia Agnese Corsi. Regia di Nino Campisi. Una produzione Teatro del Navile e Promo Music.
Le ceneri di Gramsci, scritta nel 1954, dà il titolo alla raccolta omonima di poesie, pubblicata da Garzanti nel 1957. In un maggio grigio e autunnale davanti all’urna di Antonio Gramsci, presso il cimitero degli inglesi a Roma, Pasolini dialoga con le ceneri del fondatore del Partito Comunista Italiano.
E’ un maggio ben diverso da “quel maggio italiano che alla vita aggiungeva almeno ardore” quando il giovane Gramsci delineava l’ideale che avrebbe dovuto illuminare il mondo e di cui non resta ora che “il grigiore del mondo, / la fine del decennio in cui ci appare / tra le macerie finito il profondo / e ingenuo sforzo di rifare la vita”.
Nel dialogo interiore con Gramsci, Pasolini espone la sua posizione di intellettuale, di povero tra i poveri, attratto dal popolo e dalla natura proletaria che è storicamente anteriore alla lotta di classe.
Accanto alle ceneri di Gramsci riposano i resti del poeta romantico Percy Bysshe Shelley, a cui Pasolini dedica la quinta parte del poema, e riecheggiano le pie invocazioni di William Wordsworth, citate da Paolini nel verso “And, O ye Fountains” tratto da “Ode: Intimations of Immortality fom Recollections of early Childhood”.
Pasolini si sente attratto dal romanticismo anarchico ed estetizzante di Shelley, dalla “carnale / gioia dell'avventura, estetica / e puerile" che lo mette in contraddizione con la razionalità dell’ideologia comunista. “Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere; / del mio paterno stato traditore / - nel pensiero, in un'ombra di azione - / mi so ad esso attaccato nel calore / degli istinti, dell'estetica passione”.
Pasolini non rinuncia dunque alla passione dei sensi e all’amore incondizionato ed estetico per il mondo proletario: “Mi chiederai tu, morto disadorno, / d'abbandonare questa disperata / passione di essere nel mondo?”
Le ceneri di Gramsci (parte III e IV)
(...)
III
Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l'urna, sul terreno cereo,
diversamente rossi, due gerani,
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
morti: Le ceneri di Gramsci... Tra speranza
e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
per caso in questa magra serra, innanzi
alla tua tomba, al tuo spirito restato
quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa
di diverso, forse, di più estasiato
e anche di più umile, ebbra simbiosi
d'adolescente di sesso con morte...)
E, da questo paese in cui non ebbe posa
la tua tensione, sento quale torto
- qui nella quiete delle tombe - e insieme
quale ragione - nell'inquieta sorte
nostra - tu avessi stilando le supreme
pagine nei giorni del tuo assassinio.
Ecco qui ad attestare il seme
non ancora disperso dell'antico dominio,
questi morti attaccati a un possesso
che affonda nei secoli il suo abominio
e la sua grandezza: e insieme, ossesso,
quel vibrare d'incudini, in sordina,
soffocato e accorante - dal dimesso
rione - ad attestarne la fine.
Edecco qui me stesso... povero, vestito
dei panni che i poveri adocchiano in vetrine
dal rozzo splendore, e che ha smarrito
la sporcizia delle più sperdute strade,
delle panche dei tram, da cui stranito
è il mio giorno: mentre sempre più rade
ho di queste vacanze, nel tormento
del mantenermi in vita; e se mi accade
di amare il mondo non è che per violento
e ingenuo amore sensuale
così come, confuso adolescente, un tempo
l'odiai, se in esso mi feriva il male
borghese di me borghese: e ora, scisso
- con te - il mondo, oggetto non appare
di rancore e quasi di mistico
disprezzo, la parte che ne ha il potere?
Eppure senza il tuo rigore, sussisto
perche non scelgo. Vivo nel non volere
del tramontato dopoguerra: amando
il mondo che odio - nella sua miseria
sprezzante e perso - per un oscuro scandalo
della coscienza...
IV
Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere
con te e contro te; con te nel core,
in luce, contro te nelle buie viscere;
del mio paterno stato traditore
- nel pensiero, in un'ombra di azione -
mi so ad esso attaccato nel calore
degli istinti, dell'estetica passione;
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione
la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza: è la forza originaria
dell'uomo, che nell'atto s'è perduta,
a darle l'ebbrezza della nostalgia,
e una luce poetica: ed altro più
io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia...
Come i poveri povero, mi attacco
come loro a umilianti speranze,
come loro per vivere mi batto
ogni giorno. Ma nella desolante
mia condizione di diseredato,
io possiedo: ed è il più esaltante
dei possessi borghesi, lo stato
più assoluto. Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:
ma a che serve la luce?
(...)
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