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A proposito della rappresentazione teatrale "Il Compleanno" di H. Pinter

di Renzo Canestrari.

 

Nella foto: Raffaella Gennamari e Nino Campisi ne "Il compleanno" di Harold Pinter
Nella foto: Raffaella Gennamari e Nino Campisi ne "Il compleanno" di Harold Pinter

A proposito della rappresentazione teatrale "Il Compleanno" di H. Pinter al teatro del Navile con la regia di Nino Campisi.

Volendo tentare un approccio coi personaggi di Pinter ci accorgiamo subito che il tentativo è particolarmente difficile poiché i personaggi del suo teatro non hanno una storia, non hanno un'identità sembrano agire solo nel presente e se, a volte, fanno riferimento ad un passato questo ha versioni sempre ambigue e plurivalenti.

L'osservazione fenomenologica ci avverte che i personaggi sono incapaci di avere un legame fra loro come se la vera comunicazione fosse terrorizzante: è lo stesso Pinter che lo dichiara:

"entrare nella vita di un altro è cosa troppo paurosa. Dischiudere agli altri la povertà che esiste dentro di noi è una prospettiva troppo spaventosa".

Il teatro di Pinter diventa quindi per lo spettatore un faticoso problema di decifrazione di messaggi: questi o sono temuti o sono ambigui, sfuggenti, densi di significati contraddittori o immediatamente smontabili e perciò falsi.

Nino Campisi, di cui recentemente abbiamo visto "Il Compleanno", ha scelto di proposito una chiave registica che ha inteso esaltare la pluralità semantica del testo: di fatto abbiamo avvertito, nella rappresentazione da lui diretta al Teatro del Navile, un particolare risalto sia degli aspetti comici ed umoristici sia degli aspetti inquietanti e drammatici ma tale scelta non ha inteso fornire un significato esplicativo o narrativo alla psicologia dei personaggi: questi sono rimasti senza una vita interiore, senza uno sviluppo temporale, senza capacità di comunicazione con se stessi e con altri. Lo spettatore non ha quindi potuto, come credo voglia Pinter, sottrarsi ad un senso di smarrimento e di desolazione in quanto non potendo dare un senso compiuto alla realtà non trova solidi punti di appoggio cui ancorarsi. Eppure, anche dai brevi commenti evocati dallo spettacolo del Navile, abbiamo capito che gli spettatori hanno sentito che Pinter descrive la pesantezza del vivere, la difficoltà dell'uomo di uscire dalla fisicità dei propri bisogni; le incapacità di pensare e soprattutto la presenza del "Male" dentro di noi e fuori di noi.

Particolarmente ben guidata da Nino Campisi la scena centrale dell'interrogatorio di Stanley, il protagonista: un ex pianista fallito, coinvolto in oscuri traffici con la malavita, autorecluso in una piccola pensione ed ivi raggiunto da due spietati killer mafiosi che lo sottopongono ad un sadico e kafkiano interrogatorio:

"che cosa hai fatto ieri?"

"Quando è stata l'ultima volta che ha lavato la tazza?"

"Il numero 846 è possibile o necessario?"

"Perché la gallina ha attraversato la strada?"

"Chi viene prima l'uovo o la gallina?"

"Chi viene prima? Chi viene prima?"

"Cosa mi dici della eresia degli albigensenisti?"

"Chi ha allagato il campo di cricket a Melbourne?"

"Cosa mi dici del beato martire Oliver Plunket?"

Di fronte a questa dura ed enigmatica requisitoria Stanley all'inizio cerca di capire, espone i suoi dubbi, intravede il marcio delle cose. Ma gli si oppongono interlocutori - in apparenza gente per bene, gente d'ordine, benpensanti - il cui scopo non è rassicurarlo sui dubbi o di dargli spiegazioni ma quello di tappargli la bocca con le accuse o di farlo ammattire inducendogli la confusione dei pensieri, la impossibilità di dare voce a problemi e contraddizioni ovvero inducendogli una sorta di cecità interiore: l'annichilimento e l'afasia sembrano essere il suo estremo rifugio: ogni sviluppo verso la dimensione temporale, verso il pensiero e verso altre diverse relazionalità è spento.

A me pare che proprio in questo quadro centrale della rappresentazione così come nella scena finale Nino Campisi abbia inteso sottolineare l'assunto pinteriano di una società amputata della funzione del pensiero: una società limitata alla corporalità, al consumo edonistico, infelice. Da qui la dichiarata trasformazione dei personaggi da stereotipie umane in creature subumane, animali alla maniera di Francis Bacon. (...)

In una città in cui la programmazione dei teatri maggiori soffre di una scelta assai riduttiva, piace annotare la serietà, il rigore, lo sfarzo creativo che caratterizza l'opera, assai meritoria, del Teatro Navile.

Un vivissimo grazie a Nino Campisi.


Bologna, 29 marzo 1999.

Renzo Canestrari


Professore Emerito, fondatore della Facoltà di Psicologia dell'Università di

Bologna, 29 marzo 1999.


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