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Una normalità sconvolgente - In scena «I Nani» di Pinter con il Teatro del Navile

di Corrado Govoni. La Nuova Ferrara.


Una normalità sconvolgente - In scena «I Nani» di Pinter con il Teatro del Navile.

FERRARA. Una stanza, un tavolo al centro con sedie e ai lati due piccole poltrone accanto a due piccoli tavolini; all'interno di questi "ingredienti", quattro personaggi cor-relati da tanti fili quanti sono quelli che costituiscono una ragnatela, che stanno per essere recisi.

Elementi importanti, perché essenziali, sono stati scelti dalla compagnia "Teatro del Navile" per rappresentare il disagio profondo che "I Nani" di Harold Pinter, testo scelto come primo di un trittico di testi "impegnati" inseriti ad hoc all'interno della rassegna di teatro e cabaret "Strani giorni 2000", lascia trasparire. Ottima l'interpretazione degli attori (Gianni Saturno, Matteo Cotugno, Marcello Balestra e Raffaella Gennamari) coadiuvati dall’ottima regia di Nino Campisi, direttore della Scuola di Teatro – Foyer d’Arte “Teatro del Navile”.

È così che nello spettacolo messo in scena alla Sala Estense vengono alla luce i motivi di una schizofrenia pa-ranoide che altro non è. che vera interpretazione della realtà che ci porta a distruggere il già difficile rapporto di convivenza, in nome della “pochezza” e del vuoto che animano molte delle sfere della nostra vita (il danaro, il sesso).

Tutto va a scapito di una interpretazione profonda dei nostri ruoli all’interno di una società piatta, uguale, i cui difetti possono essere visti solo dal “di fuori”, dal “di qua” rispetto allo specchio in cui noi stessi ci vediamo; l’immagine riflessa in esso è soltanto un’apparenza di verità in cui si delineano i contorni di una normalità sconvolgente. “Al di qua” invece sta la diversità di Len, il vero protagonista dello spettacolo, il cui apparente “deficit” mentale è rappresentato dal riuscire a vedere come il mondo sia contaminato dallo sterco dei nani creati dalla sua mente; i nani non sono altro che la figurazione, l’alter ego (o sarebbe meglio dire alter nos?) della nostra società.

Diversi quadri che si scambiano tra loro quasi attraverso effetti di dissolvenza mista allo “still” televisivo, scompongono l’immagine come nei quadri di Francis Bacon, rendendo l’essenza del testo in modo magistrale.

L’uso delle voci fuori campo non fa altro che sottolineare l’intricato sistema di scatole cinesi che rappresenta la mente di Len, sempre più in preda alla sua pazzia e alle sue visioni; il vero significato sta però nel finale quando Len riprende il ballo sfrenato, quasi una danza macabra, al ritmo della musica che tutti, in quel momento, ascoltano, al ritmo quindi di un fenomeno di massa, il quadro che ne risulta è, quindi, devastante, poiché la comprensione del diverso da parte degli altri, viene attuata soltanto se questo “scende a compromessi” con la società stessa, negando o cercando di farlo, la sua stessa profondità.

Un ottimo testo che ha ricevuto conferme dai numerosi applausi in finale e durante lo spettacolo.

Michele Govoni, La Nuova Ferrara, 26 novembre 1999


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