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Giornata Mondiale del Teatro - L'arte è Pace


Fabio Menis in "Io, Ota, riviera di Hiroshima" di Jean-Paul Alègre.  Una regia di Nino Campisi. Teatro del Navile, 22 marzo 2024.

"C'è il terrorismo nel mondo. C'è la guerra. Questo perché le persone hanno anche un lato animale, spinte dall’istinto di percepire l’altro, lo straniero, come una minaccia alla propria esistenza piuttosto che come un affascinante mistero."


Jon Fosse - Messaggio per la Giornata Mondiale del Teatro 2024.



La Giornata Mondiale del Teatro



Istituita a Parigi dall’International Theatre Institute e dall’UNESCO,

in occasione della cerimonia di inaugurazione del Teatro delle Nazioni il 27 marzo del 1962, la Giornata Mondiale del Teatro viene celebrata ogni anno in tutto il mondo con un messaggio che viene letto nei teatri, nei luoghi di cultura e nelle scuole in tutto il mondo.


Giunta alla 62a edizione, la Giornata Mondiale del Teatro ha affidato il messaggio di quest'anno a Jon Fosse.


Con il suo commovente messaggio ‘L’arte è Pace’, lo scrittore e drammaturgo norvegese, ci esorta a riflettere sui valori fondamentali del teatro volti alla fratellanza universale, alla ricerca della pace e alla risoluzione dei conflitti che insanguinano il mondo.


 

L’Arte è Pace



Camilla Cordelli in "Io, Ota, riviera di Hiroshima" di Jean-Paul Alègre.  Una regia di Nino Campisi. Teatro del Navile, 22 marzo 2024.

International Theatre Institute ITI - World Organization for the Performing Arts.

Messaggio per la Giornata Mondiale del Teatro 2024

di Jon Fosse.


"Ogni persona è unica e, allo stesso tempo, simile a tutte le altre. L’aspetto esteriore, visibile di ciascuno è diverso da quello di chiunque altro, questo è ovvio, ma c'è anche dentro ogni individuo qualcosa che appartiene solo a quella persona, che è proprio solo di quella persona. Potremmo chiamarlo il suo spirito, o la sua anima, oppure potremmo decidere di non etichettarlo affatto con le parole, lasciandolo semplicemente stare là.


Ma anche se diversi gli uni dagli altri, siamo al contempo simili. Le persone di ogni parte del mondo sono fondamentalmente simili, e questo indipendentemente dalla lingua che parliamo, dal colore della pelle che abbiamo, dal colore dei capelli.


Potrebbe sembrare un paradosso: siamo completamente simili e completamente dissimili allo stesso tempo. Forse ogni persona è intrinsecamente paradossale, nel legame tra corpo e anima: comprendiamo in noi sia l'esistenza più terrena e tangibile, sia quanto trascende questi limiti materiali e terreni.


L'arte, la buona arte, riesce, in modo meraviglioso, a coniugare l'assolutamente unico con l'universale. Ci permette di comprendere ciò che è diverso – ciò che è estraneo, si potrebbe dire – in quanto universale.


Così facendo, l’arte supera i confini tra le lingue, le regioni geografiche, i paesi, mettendo insieme non solo le qualità individuali di ciascuno, ma anche, in un altro senso, le caratteristiche individuali di ogni gruppo di persone, ad esempio di ogni nazione.


L'arte non lo fa appiattendo le differenze e rendendo tutto uguale, ma, al contrario, mostrandoci ciò che è diverso da noi, ciò che è estraneo o straniero. Tutta la buona arte contiene proprio questo: qualcosa di estraneo, qualcosa che non possiamo comprendere completamente e che, allo stesso tempo, in un certo senso, comprendiamo. Contiene un mistero, per così dire. Qualcosa che ci affascina e che ci spinge oltre i nostri limiti, creando così quella trascendenza che ogni arte deve contenere in sé e alla quale deve condurci.


Non conosco modo migliore per unire gli opposti. Questo approccio è esattamente il contrario rispetto a quello dei conflitti violenti che vediamo troppo spesso nel mondo, che assecondano la tentazione distruttiva di annientare tutto ciò che è estraneo, unico e diverso, spesso utilizzando le invenzioni più disumane che la tecnologia abbia messo a nostra disposizione.


C'è il terrorismo nel mondo. C'è la guerra.

Questo perché le persone hanno anche un lato animale, spinte dall’istinto di percepire l’altro, lo straniero, come una minaccia alla propria esistenza piuttosto che come un affascinante mistero.


È così che l’unicità, le differenze che si possono vedere, scompaiono, lasciando dietro di sé un’uniformità collettiva in cui tutto ciò che è diverso diventa una minaccia da sradicare. Ciò che dall’esterno è visto come una differenza, ad esempio nell’ambito della religione o dell’ideologia politica, diventa qualcosa da sconfiggere e distruggere.


La guerra è la battaglia contro ciò che risiede nel profondo di ognuno di noi: qualcosa di unico. Ed è anche una battaglia contro l'arte, contro ciò che risiede nel profondo di ogni arte.


Ho parlato qui dell'arte in generale, non del teatro o della drammaturgia in particolare, perché, come ho detto, tutta la buona arte, in fondo, si basa sulla stessa cosa: prendere l'assolutamente unico, l'assolutamente specifico, per renderlo universale.


Unire il particolare all'universale, esprimendolo artisticamente: non eliminando la sua specificità, ma enfatizzandola, lasciando risplendere ciò che è estraneo e non familiare.


La guerra e l’arte sono opposti, proprio come lo sono la guerra e la pace. È semplicemente così."


Traduzione dall’inglese di Roberta Quarta - Centro Italiano dell’International Theatre Institute (ITI Italy)



 

Jon Fosse - Messaggio per la Giornata Mondiale del Teatro 2024
Jon Fosse - Messaggio per la Giornata Mondiale del Teatro 2024

Jon Fosse


Scrittore, poeta e drammaturgo norvegese (n. Haugesund 1959), Fosse è uno scrittore incredibilmente prolifico e un intellettuale poliedrico, tra le voci più significative della drammaturgia contemporanea, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Samuel Beckett del XXI secolo“. Ha esordito nella scrittura nel 1983 con il romanzo “Raudt, svart” (“Rosso, nero“), sperimentando successivamente generi e stili eterogenei, quali la narrativa breve, la poesia, la saggistica e la letteratura per l’infanzia. Le sue opere sono state tradotte in oltre 40 lingue, compreso l’italiano. I primi riconoscimenti arrivano a Fosse già agli inizi degli anni Novanta, soprattutto per i suoi racconti per l’infanzia. Nel 1996, oltre a ricevere diversi riconoscimenti per le sue opere in prosa, vince per la prima volta il prestigioso Premio Internazionale Henrik Ibsen (lo vincerà nuovamente nel 2010).


Da allora, la sua attività artistica è stata costantemente accompagnata da una ricca messe di riconoscimenti, che lo portano ad aggiudicarsi, tra gli altri, il Nynorsk Literature Prize, lo Swedish Academy’s Nordista Pris, il Premio Ubu, l’European Prize for Literature. Nel 2005 viene nominato Commendatore dell’Ordine reale norvegese di Sant’Olav e nel 2007 la Francia gli conferisce l’Ordine Nazionale al Merito. Nel 2015 l’Università di Bergen, che lo vide giovane laureato nel 1987, gli ha attribuito il dottorato honoris causa e nello stesso anno ha vinto il Nordic Council’s Literature Prize.


Nel 2016 è stato insignito del Premio Willy Brandt, che ha sancito il successo di Fosse in Germania, dove è ampiamente tradotto e dove registi di primo piano, come Thomas Ostermeier, lo hanno più volte portato sulle scene con grande sensibilità e successo.


I suoi testi teatrali sono stati messi in scena in tutto il mondo, affermandosi come autore di opere di struttura frugale che danno voce, con lucida analisi, al disagio che scaturisce dalle barriere comunicative poste tra gli uomini e le donne della nostra epoca, tra figure d’età diverse, tra persone disunite da vincoli famigliari, tra soggetti vivi e ombre.


Già nel suo primo dramma “Nokon kjem til å komme” (“Qualcosa sta per arrivare“, 1992-93) è compiutamente espressa la cifra stilistica di Fosse, caratterizzata da una scrittura scarna e spietata, pronta a cogliere tutte le contraddizioni del linguaggio e delle reti relazionali, indagando temi quali la labilità della comunicazione, il divario generazionale e la precarietà dei rapporti familiari e di coppia. Autore del poderoso dittico sul pittore norvegese ottocentesco Lars Hertervig “Melancholia” (1995-96; traduzione italiana da Fandango Libri nel 2009), tra i romanzi più famosi di Fosse spicca “Insonni” (Fandango Libri 2011), una favola moderna dai toni dolci in cui i piccoli protagonisti, due creature simili all’Hansel e Gretel della fiaba, assistono impotenti alla crudeltà del giudizio con il cuore ancora pieno di speranza per quel miracolo che è la vita.


Come autore di intensi drammi tra i numerosi altri figurano “Natta syng sine songar” (1998; traduzione italiana con il titolo “E la notte canta” da Editoria & Spettacolo nel 2002) e “Eg er vinden” (2007; traduzione italiana “Io sono il vento” da Titivillus nel 2012; nello stesso volume compaiono anche “Variazioni di morte” e “Sonno“). Il volume “Teatro di Jon Fosse” (Editoria & Spettacolo, 2006) raccoglie sei drammi: “Il nome” (1995), “Qualcuno arriverà” (1996), “E la notte canta” (1998), “Sogno d’autunno” (1999), “Inverno” (2000), “La ragazza sul divano” (2002). Tra i suoi lavori più recentemente pubblicati in Italia figurano “Morgon og kveld” (2000; “Mattino e sera“, La nave di Teseo 2019) e il monumentale progetto letterario “Det andre namnet: septologien I-II” (2019; “L’altro nome: settologia I-II“, La nave di Teseo 2021). In italiano sono apparsi anche “Saggi gnostici” (a cura di Franco Perelli, Cue Press, 2018) e “Caldo” (Cue Press, 2018).




 

Nella foto 1: Fabio Menis in "Io, Ota, riviera di Hiroshima" di Jean-Paul Alègre.

Una regia di Nino Campisi. Teatro del Navile, 22 marzo 2024.


Nella foto 2:

Camilla Cordelli in "Io, Ota, riviera di Hiroshima" di Jean-Paul Alègre.



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