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Renato Barilli - Il dialogo tra Emma Bovary e Anna Karenina



In occasione del debutto in prima assoluta al Teatro del Navile dell'opera "Una gara all’altro mondo. Dialogo fra Emma Bovary e Anna Karenina", pubblichiamo la presentazione inedita di Renato Barilli. Il professore emerito e noto studioso di arte e letteratura affronta per la prima volta la scrittura teatrale, indagando sul rapporto che queste emblematiche “eroine” della grande letteratura hanno con i rispettivi autori-creatori di loro stesse.

Il dialogo tra Emma Bovary e Anna Karenina

Le due si incontrano in un luogo sordido, simile a una comunità protetta dei nostri giorni che accoglie drogati o persone con problemi psichici. E’ da escludere ogni elemento di carattere trascendente. Si può decidere se dare alle due abiti dei nostri giorni o rispettare una qualche fedeltà ai costumi della loro epoca, In ogni caso ci deve essere un contrasto tra la tenuta piccolo-borghese della Bovary, seppure non priva di qualche pretesa, e l’abito alto-borghese dell’altra. Le due sono perfettamente al corrente delle rispettive vicende, le notizie in quel luogo arrivano, e nella conversazione mettono a confronto sia le rispettive colpe, sia le modalità con cui si sono autopunite mediante il suicidio.

La Bovary ammette che le sue colpe sono state più gravi, considerato che il marito Carlo era un buon diavolo, pronto a fare di tutto per lei, col solo torto di essere mediocre e di garantirle solo un tranquillo benessere privo di prospettive. Lei invece alimentava nel suo animo sogni di evasione, di avventura, di amore vero, accompagnato da viva passione e soddisfazione dei sensi. Da qui le sue avventure, ora lo ammette, incaute, prive di misura, consumate con persone che immancabilmente si sarebbero mostrate indegne di lei, alla presenza di un ambiente ostile pronto alla condanna. E di conseguenza la decisione di darsi la morte nel modo più crudele, per autopunizione.

Quindi la sua esistenza sarebbe senza alcun compenso e risarcimento, se non fosse il senso di solidarietà, di vicinanza, manifestatole proprio da Flaubert stesso, pronto a pronunciare quella frase memorabile, a identificarsi con lei, e dunque a perdonare i suoi disastrosi trasporti e fughe in avanti. Lui stesso se ne sente sollecitato, e ritiene che in un futuro migliore ogni soggetto umano abbia diritto a quelle possibilità di vita allargata e più gratificante. In fondo, il pubblico dell’epoca non si è lasciato ingannare, e se ha trascinato Flaubert a un processo, non lo ha fatto tanto per la sfrontatezza di mettere sotto i riflettori un tradimento coniugale, bensì per l’evidente solidarietà non negata al suo personaggio.

La Karenina concorda con questo giudizio, certamente le sue colpe sono state meno gravi, con possibili attenuanti, a cominciare dalla condotta di un marito privo di umanità, gelido, chiuso nel rispetto meticoloso di tutti i valori ufficiali. Inoltre lei non si è lasciata traviare da qualche giovinastro da strapazzo, ma il suo partner si è dimostrato in definitiva una brava persona, pronta a seguirla lungo la brutta china e a scontare assieme a lei il rigetto della società. Forse dunque l’atto del suicidio nel suo caso è stato decisamente insano, meno giustificato, ma le ha pesato non poco la tacita condanna con cui il suo autore, Tolstoj stesso, ne ha commentato la vicenda.

Alla Karenina è mancata la solidarietà del suo creatore, che in nessun modo avrebbe potuto pronunciare la formula dell’identità, della condivisione dei destini. Al contrario, forse a pesare di più su Anna, a indurla al suicidio, è stata proprio la implicita riprovazione di chi invece avrebbe dovuto essere testimone a suo favore. Tolstoj, perfidamente, le ha messo a confronto i casi da lui ritenuti giusti, almeno secondo i valori morali del tempo, da cui il grande narratore, fino quel momento, non intendeva dissociarsi.

Contro di lei e il malsano cedere alla passione, l’autore le contrappone la cognata, pronta a perdonare le marachelle del marito e a ricostituire la piena salute del nucleo familiare, e giganteggia pure un altro personaggio positivo, il “coltivatore diretto” Levin, che sa perdonare un caso analogo a quello stesso di Anna, la condotta della giovane Kitty, anche lei propensa a cedere al fascino del bel Vronskij, ma poi ritornata sulla retta via proprio grazie al solido Levin, che ha saputo attendere con pazienza.

E dunque, la Karenina deve ammettere amaramente di essere stata condanna due volte, dal “comune senso del pudore” di quella società, e dal suo autore che al momento era schierato su quella linea, tanto è vero che per lui non ci fu nessun processo, la maggioranza silenziosa capiva di averlo dalla sua parte.

Renato Barilli


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